Traduzione italiana minimalista di saggio miliare statunitense, lingua scelta per il titolo: francese
«Reading the Romance» (1984, 1991) di Janice Radway e la traduzione italiana «La vie en rose. Letteratura rosa e bisogni femminili» (2012) edita da Dino Audino Editore a confronto
A occuparsi di La vie en rose, traduzione italiana del saggio cult Reading the Romance di Janice Radway, sono state Elisabetta Flumeri e Gabriella Giacometti dietro consiglio di Dino Audino, responsabile della casa editrice omonima. In un’intervista del 2013, Flumeri dichiara che è stato proprio Audino a farle conoscere Reading the Romance:
[Audino] mi ha chiesto un parere perché era una cosa degli anni Settanta e voleva sapere se era ancora attuale.
Io l’ho letto e ho trovato che l’ipotesi di fondo fosse ancora valida e interessante, anche se riferita a un contesto anni Settanta in America. [Janice Radway] aveva fatto un focus group in un piccolo paese con una serie di questionari, cercando di capire perché le donne leggono il rosa. Perciò ho detto ad Audino: “Te lo traduco io” e ce lo siamo tradotto noi.
Poco sotto Flumeri afferma di parlare e tradurre l’inglese; non ne dubito. D’altro canto, però, penso sia lecito chiedersi cosa intenda con «tradurre l’inglese». Un documento legale, un romanzo fantascientifico e un saggio accademico richiedono scelte di traduzione a volte anche ai poli opposti in quanto la tipologia di testo influenza la tipologia di traduzione. Se in una poesia si cercano di mantenere le melodie presenti nel testo originale, in un manuale tecnico il suono della lingua è secondario alla chiarezza delle informazioni fornite.
Per farla breve: un’ottima traduttrice è un’ottima traduttrice nel suo campo di traduzione.
Questo è il motivo per cui quando si vuole tradurre un saggio su una nuova teoria di meccanica quantistica, ad esempio, sarebbe il caso di lasciarlo in mano a qualcuno che ha 1) ottime conoscenze in ambo le lingue, 2) esperienza nella traduzione scientifica, e 3) dimestichezza con le varie teorie di meccanica quantistica già accettate dalla comunità scientifica. Rimossa una di queste caratteristiche, è probabile che ne risenta la traduzione.
Ora, visto che lu traduttoru fa da mediatoru tra testo e lettoru, va da sé che deve non solo capire il testo ma anche l’obiettivo del testo. Qual è l’intento dell’autoru? Quale funzione ha il testo? Perché sono state fatte determinate scelte lessicali e strutturali? Che funzione hanno le appendici che contornano il testo? Ogni risposta informa le scelte di traduzione dellu tradotturu. Di conseguenza, se si fraintende l’obiettivo del testo per forza di cose si compromette la traduzione.
Cosa che è successa con La vie en rose.
Reading the Romance è considerato un testo cult della critica della cultura popolare fin dalla sua pubblicazione. La metodologia, l’approccio e le analisi di Radway sono ancora usate, discusse e criticate nel 2025, non solo nell’ambito del romance ma anche nella critica femminista, nella critica dei mass media, nella critica letteraria e nella critica dei fandom. Google Scholar ci dice che Reading the Romance è citato in 9630 articoli accademici, saggi e tesi; per fare un paragone, A Theory of Semiotics di Umberto Eco riporta 11784 citazioni.
Sono restia ad affermare che debba esistere una gerarchia di testi che meritano traduzioni di migliore qualità; dopotutto, solo perché un testo non è considerato “alta letteratura” non vuol dire che debba essere tradotto in modo grossolano. In compenso, però, quando si traduce un testo portante su cui si basano conclusioni ancora considerate attuali trent’anni (ormai quarant’anni) dopo la pubblicazione, forse sarebbe il caso di usare qualche premura in più e assicurarsi di portare in italiano un testo che sia il più possibile fedele alle considerazioni fornite in originale.
Per la cronaca, critiche all’approccio e alle conclusioni di Radway sono state portate avanti fin dagli anni ’80, tanto che Radway stessa nell’introduzione della seconda edizione (pubblicata nel 1991) ne prende atto ed evidenzia cosa cambierebbe nel testo col senno di poi. Con questo voglio dire che Reading the Romance non è un saggio intoccabile. Semplicemente, La vie en rose ci preclude critiche e considerazioni concrete perché il testo tradotto è completamente diverso dal testo originale, non solo a livello contenutistico ma anche a livello strutturale.
A seguire, quindi, non ci sarà una recensione di Reading the Romance, quanto più un’analisi delle scelte editoriali e di traduzione fatte durante la (ri)scrittura di La vie en rose.
La debolezza principale di La vie en rose deriva da alcune scelte editoriali altamente opinabili, a cui si aggiungono errori di traduzione che si rivelano essere un’incomprensione del testo da parte delle traduttrici. Quest’ultimo punto non è una speculazione: ci sono errori oggettivi che vanno ben oltre la discutibilità di certe scelte di traduzione e riguardano invece dati oggi riportati da Radway. Ma su questo torniamo poi, per il momento parliamo delle scelte editoriali.
Prima ancora di iniziare la lettura, La vie en rose presenta un’«avvertenza editoriale». In essa si giustificano alcune scelte di traduzione (come ad esempio non tradurre i titoli di opere che non esistono in italiano) e alcuni (parola chiave: alcuni) tagli effettuati nel testo. Riporto a seguire la parte relativa a questi tagli:
Nell'introduzione di Sarah Frantz all’edizione italiana sono stati inseriti brani salienti dell’introduzione scritta da Janice Radway in occasione della ristampa del 1991, che esplicitavano la metodologia seguita e la novità dell'approccio empirico adottato lavorando su una comunità di persone reali.
Il primo capitolo è stato tagliato nelle parti riguardanti la storia specifica dell’industria editoriale americana di genere. Stesso discorso per il secondo capitolo, dove sono stati eliminati i riferimenti strettamente attinenti alla realtà americana degli anni Settanta.
Per quanto riguarda gli altri capitoli, sono stati fatti solo minimi tagli “interni”, laddove c’erano riferimenti troppo specificamente americani.
Il frontespizio de La vie en rose ci informa che l’edizione usata come base per la traduzione è quella del 1991, nello specifico quella che si apre con Radway che prende atto delle critiche ricevute in seguito alla prima pubblicazione. Per scelte editoriali questa introduzione viene completamente rimossa e sostituita con un’altra introduzione, creata ad hoc da Sarah S.G. Frantz, accademica del romance tutt’oggi attiva.
Frantz fa un ottimo lavoro a contestualizzare l’analisi di Radway, a esplorare le critiche rivolte alla sua metodologia, e persino a introdurre i cambiamenti avvenuti nell’ambito del romance tra gli anni ’80 e il 2010 (come ad esempio la popolarizzazione di nuovi sottogeneri e di nuove tipologie di coppie e personaggi). L’unico problema è che l’introduzione di Frantz si basa sul testo integrale di Reading the Romance. Quindi quando Frantz ci dice che La vie en rose «fornisce una ricostruzione storica approfondita delle tecniche di pubblicazione e delle prassi che hanno condotto alla produzione di massa della narrativa popolare rosa» (p.5) non sa che, in realtà, la Audino Editore ha deciso di tagliare dal testo ogni menzione dell’editoria americana precedente al 1900.
Nell’edizione inglese, Radway dedica il primo capito alla ricostruzione storica dell’editoria statunitense partendo dal 1600, delineando così come ci si è spostati, nei secoli, da una produzione individuale (un autore, maschile voluto, che investiva una propria somma di denaro nella creazione di qualche copia da distribuire nel suo gruppo letterario ben delineato) a una produzione industriale (una casa editrice che stampa vari libri rivolti a varie fette di popolazione) e successivamente a una produzione seriale (una serie di libri con caratteristiche simili abbastanza da soddisfare alla perfezione il pubblico a cui sono destinati).
Da notare che Radway ha scritto questo saggio sotto una lente femminista e marxista (Reading the Romance, p.6); va da sé che nel descrivere lo sviluppo tecnologico e i nuovi metodi di produzione sta al contempo evidenziando come la spinta capitalista ha modificato i concetti stessi di scrittura, lettura, vendita e acquisto di libri.
I tagli effettuati nell’edizione italiana indeboliscono le conclusioni di Radway. «Il moltiplicarsi delle vendite», scrive a fine capitolo, «non implica necessariamente un aumento della domanda e del bisogno» (La vie en rose, p.19). Ciò che Radway intende è che la popolarità del romance non è scoppiata negli anni ’70 perché le lettrici si sono improvvisamente trovate a desiderarne la lettura per motivi socioculturali. Piuttosto, ci dice, gli editori hanno messo in atto dei meccanismi volti al profitto che non si possono ignorare se si vuole spiegare la popolarità del romance.
Per arrivare a questa conclusione Radway scrive ben 27 pagine; in italiano ne sono state tradotte solo 8, nello specifico quelle prettamente incentrate sulla produzione di romance, rimuovendo così le parti antecedenti che riguardavano testi di altri generi.
Se Radway avesse voluto concentrarsi solo sulla produzione di romance, l’avrebbe fatto lei stessa nel 1984 e poi di nuovo nel 1991. Evidentemente, allora, la decisione di ricostruire un contesto più ampio deve esserle sembrato necessario per evidenziare come il romance nella sua forma (allora) moderna fosse una conseguenza logica di tecniche di produzione e scelte editoriali guidate dal profitto.
Nonostante ciò, il primo capitolo presenta solo dei tagli. Il secondo capitolo non è altrettanto fortunato.
Radway basa le conclusioni di Reading the Romance su delle conversazioni e dei questionari effettuati con un gruppo di 42 lettrici di romance provenienti da una cittadina del midwest, Smithton (nome in codice). Nel testo originale, Radway riporta per intero i questionari che ha fornito alle lettrici, una scelta che permette allu lettoru di indagare sul metodo scelto per l’analisi. Dopotutto, le domande presenti in un questionario sono tanto importanti quanto le domande non presenti. La scelta di cosa è ritenuto lecito approfondire o meno aiuta a individuare potenziali punti ciechi.
Radway apre le sue interviste con un questionario di 34 domande, ma dopo un primo contatto con le lettrici di Smithton si rende conto che il questionario è incompleto, così lo amplia in 53 domande. Leggendo l’edizione italiana, però, nessun lettoru potrebbe saperlo perché i questionari sono stati completamente rimossi così come tutti i dettagli che Radway dedica allo sviluppo delle domande proposte.
In ogni caso, nel secondo capitolo Radway presenta le risposte ricevute dalle partecipanti, illustrandole in una serie di tabelle che riportano la frequenza delle risposte ricevute. Porto ad esempio la tabella della domanda: “Quali sono gli elementi più importanti nel romance?”.


Nel questionario originale Radway dava la possibilità di rispondere alla domanda in modo gerarchico, chiedendo cioè alle lettrici di scegliere quale caratteristica fosse più importante rispetto alle altre.
Non riportando i dati numerici e strutturali della domanda, lu lettoru non può sapere quanto è ampio lo scarto tra i primi tre elementi e i successivi, non può sapere che alcune risposte sono state selezionate lo stesso numero di volte, e non può nemmeno sapere che una domanda non ha ricevuto nemmeno una risposta – a maggior ragione perché questa domanda (“b. Molte scene con descrizioni sessuali esplicite”) è stata completamente rimossa nell’edizione italiana. Una scelta che ha poco senso per numerosi motivi. In primo luogo, Radway presenta domande simili con livelli di gradazione diversa. Quando chiede se alle lettrici interessano a) molte scene senza descrizioni esplicite, b) molte scene con alcune descrizioni esplicite, e c) molte scene con molte descrizioni esplicite, sta cercando di indagare su quale sia il livello di comfort delle lettrici. Il fatto che nessuna abbia selezionato molte descrizioni esplicite si collega al fatto che le lettrici di Smithton respingono tutti quei libri che ritengono pornografici – un dettaglio rilevante perché negli anni ’80 (come oggi, ci tocca dire) l’idea che il romance fosse il “porno delle donne” era più che popolare. Lo dimostra Radway stessa quando cita Soft-Porn Culture (1980) di Ann Douglas, un saggio anti-pornografia che si basa sull’idea che i romance Harlequin (la casa editrice da cui derivano gli Harmony) siano nocivi per la «donna liberata». Curiosamente, questa è anche una citazione che viene rimossa nell’edizione italiana, probabilmente perché parla di pornografia in modo troppo esplicito. Ma su questo torniamo dopo.
Altri tagli non meglio giustificati riguardano il modo in cui Radway presenta le lettrici di Smithton allu lettoru del saggio. Una delle scelte di Radway è quella di soffermarsi sulla sua informatrice numero uno, Dot, il tramite che le permette di conoscere le altre lettrici coinvolte nei questionari. Dot è addetta alle vendite in una libreria – non, come scrivono nell’edizione italiana, «la proprietaria» (p.20) – e la sua popolarità deriva da una newsletter mensile in cui consiglia e recensisce i romance del mese, come una vera e propria blogger ante litteram. La questione della newsletter è completamente rimossa dall’edizione italiana, ma in realtà è di fondamentale importanza per due motivi. In primis, evidenzia il fatto che le lettrici di romance degli anni Settanta non si limitavano a leggere ciò che veniva scelto per loro dalle case editrici, bensì mettevano in atto delle pratiche per catalogare i libri pubblicati e decidere su quali libri investire i loro soldi (una questione che richiedeva attenzione perché alcune delle lettrici prese in esame dipendevano dagli stipendi del marito). In secondo luogo, Dot fa letteralmente da centro focale del gruppo campione.
Radway riconosce la sua importanza e le dedica una buona parte del secondo capitolo. Una sezione importante, poi usata per conclusioni più ampie, riguada il motivo per cui Dot ha cominciato a leggere i romance.
Quindici anni prima dell’intervista, ci informa Radway, il dottore di Dot si mostrò preoccupato per il suo esaurimento mentale e fisico dovuto al doversi costantemente prendersi cura di suo marito e dei loro tre figli, così le consigliò di trovare un’attività di svago che fosse tutta per lei. Questa parte è completamente rimossa nell’edizione italiana, nonostante poi Radway la usi come base d’appoggio per l’interezza del capitolo 3, dedicato al romance inteso come escapismo e anestetico.
Dal suo questionario Radway scopre che il 76% delle lettrici di Smithton sono sposate, 12% vedove o separate, e il 7% single. Di tutto il gruppo, il 12% non ha figli. Radway analizza, tra le varie cose, le pratiche religiose delle lettrici, la loro educazione scolastica, il tipo di lavoro che svolgono, il reddito del loro nucleo famigliare, ma questi dati sono riportati in La vie en rose solo parzialmente, in alcuni casi in modi così approssimativi da venire fraintesi dalle curatrici stesse. Lo dimostra l’appendice finale in cui Flumeri e Giacometti – esponendo un sondaggio da loro effettuato sulle lettrici di rosa in Italia – affermano che «le donne di Smithton erano tutte madri di famiglia», dato oggettivamente errato.
Qui bisogna aprire un’altra parentesi. Uno dei problemi più grossi di Reading the Romance è che il gruppo campione di Radway è composto da solo 42 lettrici, tutte raccolte grazie all’aiuto di Dot. In pratica, oltre ad essere un campione davvero ridotto, è anche un campione limitato dallo spazio (tutte le lettrici abitano nella stessa zona e di conseguenza vivono vite simili, pagano affitti simili, seguono pratiche culturali simili) e dal gusto (le lettrici a campione sono clienti abituali di Dot, raccolte tramite il suo lavoro da libraia e la sua newsletter; si può quindi dare per scontato che abbiano gusti e sensibilità affini a Dot). Radway si rende conto che questo gruppo non può essere usato per generalizzare su tutto il pubblico del romance (lo afferma lei stessa prima di esporre i dati del questionario), ma questo non le impedisce di generalizzare sulle lettrici di Smithton stesse. In pratica, Radway ignora quel 7% di donne non sposate e quel 12% di donne senza figli, e basa la sua intera analisi sull’ideale di lettrice che è al contempo moglie e madre. Tutte le lettrici che cadono al di fuori di questa descrizione non vengono prese in considerazione.
Questa, però, è una considerazione a cui si riesce ad arrivare solo leggendo Reading the Romance, perché La vie en rose decide di riassumere i dati nel modo più riduttivo possibile, rimuovendo quelli ritenuti (non si sa per quale ragione) superflui. Di fatto, se il secondo capitolo in originale ha 40 pagine, nell’edizione italiana viene contenuto in 6 pagine, con tanto di rielaborazioni personali delle curatrici. Notiamo la differenza tra questo paragrafo:
Ciò che conta per le lettrici e per le autrici di rosa (che spesso e volentieri sono state a loro volta appassionate lettrici, smentendo l’ipotesi dei critici letterari secondo cui si tratta sempre di storie costruire cinicamente a tavolino) è la comprensione della gamma delle emozioni dell’eroina: esitazione, dubbio, rabbia, confusione perdita di controllo, abbandono totale ecc. (La vie en rose, p.23)
e quello originale:
[Jeanne Glass, an editor at Pyramid Publications] has written that the sex in romances must be “sensual, romantic, breathy—enough to make the pulse race, but not rough-guy, explicit, constantly brutal.” She adds that the predominant flavor must be an “understanding of female emotions: hesitancy, doubt, anger, confusion, loss of control, exhilaration, etc.” (Reading the romance, p.70)
Radway non sta parlando in generale di ciò che le lettrici si aspettano dai loro romance, bensì cosa vogliono e cosa non vogliono leggere nelle scene di sesso. La vie en rose, invece, espande questa conclusione a tutto il genere, rimuovendo così la parte che ci informa di come le lettrici di Smithton catalogano i romance non solo nella loro interezza, ma anche nei dettagli delle singole scene.
In pratica, la conclusione a cui si arriva è completamente diversa.
La vie en rose presenta altre traduzioni un po’ balorde («lover-boy» tradotto come «ragazzo-amante» invece di «rubacuori» o qualche altro suo sinonimo; «gay romance» tradotto come «romance sui gay», cosa che mi fa ancora morire dal ridere; o «highly educated women in male-dominated professions» tradotto come «donne manager di cultura superiore», frase che non c’entra una sega), ma il problema più grosso riguarda i tagli effettuati senza avvisare. Oltre alla rimozione dei dati sulle lettrici di Smithton, cosa che impedisce una lettura accurata del saggio, l’altro taglio importante va a minare alla lente femminista usata da Radway durante la stesura.
Dicevamo sopra che nell’avvertenza editoriale di La vie en rose, le traduttrici ci informano che le parti rimosse sono quelle «strettamente attinenti alla realtà americana degli anni Settanta». Allora viene da chiedersi per quale motivo abbiamo rimosso tutte le parti del testo che parlano di stupro, una realtà che, per nostra sfortuna, non è di certo limitata agli Stati Uniti e nemmeno agli anni Settanta.
Ho il mezzo dubbio che da questo punto di vista ci abbia messo mano la casa editrice, eppure nel cercare di sanitizzare il testo si perde l’intento originale di Radway. Tanto per iniziare, quando Radway parla di stupro usa esplicitamente la parola «rape», sostituendola con «violence» solo nei casi in cui sta riportando citazioni altrui oppure si sta appellando alla violenza fisica non strettamente sessuale. La scelta di usare rape/stupro invece di altri sinonimi esiste in conversazione con il movimento femminista degli anni ’70 e ’80 in cui Radway era immersa in primis come accademica.
Nell’edizione italiana, però, si fa largo uso di sinonimi come «violenza carnale» o più semplicemente «violenza». A livello denotativo queste traduzioni non sono errate, eppure a livello connotativo eliminano la carica politica che è invece presente nella parola «stupro», sia in italiano che in inglese.
Un’altra conseguenza è che non si riesce più a distinguere tra violenza fisica e violenza sessuale – due cose che, nonostante possano, non è necessario che coesistano. La vie en rose ignora questo dettaglio e decide di tradurre «rape» con «stupro» solo a partire dal quarto capitolo, una scelta effettuata unicamente quando le curatrici ritengono necessario trovare un sinonimo per non usare troppo di frequente la parola «violenza» nello stesso paragrafo. Da notare che Radway non si fa lo stesso problema e continuare a usare «rape» più volte di seguito.
In ogni caso, anche quando a La vie en rose viene concesso parlare di stupro, raccontare lo stupro è tutta un’altra questione.
Nel quarto capitolo, Radway si dedica all’analisi letteraria di alcuni dei romance più popolari (in positivo e in negativo) tra le donne di Smithton. Nella sezione dedicata alle scene di sesso, Radway porta ad esempio alcune citazioni per dimostrare che le lettrici prese in esame fanno distinzione tra le scene di stupro considerate inaccettabili (di solito quelle troppo violente, scritte in un modo considerato “pornografico”, oppure quelle messe in atto da personaggi marginali) e le scene di stupro che, per narrazione, risultano più simili a fantasie di stupro (il tipo di scena guidato da una protagonista che rifugge alla propria responsabilità di dare consenso perché incapace di accettare/riconoscere i propri desideri oppure perché viene stravolta dal desiderio incontrollato del co-protagonista maschile). Nel farlo, Radway riporta delle scene per intero. Peccato che in italiano tutte le citazioni in cui lo stupro è troppo esplicito sono state rielaborate.
Prendiamo questa scena da Il fiore e la fiamma di Kathleen Woodiwiss:
A half gasp, half shriek escaped her and a burning pain seemed to spread through her loins. Brandon started back in astonishment and stared down at her. She lay limp against the pillows, rolling her head back and forth upon them. He touched her cheek tenderly and murmured something low and inaudible, but she had her eyes closed and wouldn't look at him. He moved against her gently, kissing her hair and brow and caressing her body with his hands. She lay unresponsive, yet his long starved passions grew and soon he thrust deeply within her, no longer able to contain himself. It seemed with each movement now she would split asunder and tears came to her eyes. (The Flame and the Flower, p.34, citato in Reading the Romance, p.144).
In La vie en rose ci viene riportato così:
Brandon, il protagonista, comincia a usare violenza all’eroina e resta incredulo quando scopre che è vergine. Allora ha per lei dei gesti di tenerezza ma poi, travolto dalla passione, porta a termine l’atto sessuale, malgrado l’evidente sofferenza di lei, che alla fine piange disperata di dolore e di vergogna. (p.80)
Va da sé che se la Audino ha come direttiva editoriale quella di non pubblicare libri che parlano troppo esplicitamente di stupro, allora forse non era il caso di tradurre un saggio che, tra le varie cose, vuole indagare anche sul desiderio (o sulla negazione del desiderio) delle lettrici di romance. E se aggiungiamo a quanto già detto il fatto che nell’edizione italiana si è scelto di rimuovere tutta la bibliografia, viene da chiedersi quale fosse l’intento dietro questa traduzione. Io ancora non me lo spiego.
Viene da chiederlo anche a me quale fosse l'intento di questa traduzione, dopo aver letto questo post. Cioè, tanto valeva non tradurlo per fare un lavoro così... così. Mi trattengo dal qualificarlo, va'.
Volevo leggere il saggio originale prima o poi, comunque!